AVRO Vulcan B Mk1
Modello: Airfix 1/72
Modellista: Moreno Bartolucci

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AVRO VULCAN B MK1

Descrizione: Bombardiere pesante a lungo raggio con equipaggio di 5 membri. Costruzione  portante completamente in metallo.
Designazione: modello AVRO 698 Type.
Costruttore: A.V. ROE & CO. Ltd., Manchester (UK).
Motore: 4 turbogetti Bristol Olympus tipo 104 da 6.370 kg. di spinta (13.000 libbre)
Dimensioni: Apertura alare 30,18 m., lunghezza 29,60 m. altezza 7,95 m. superficie alare 1092 mq.
Peso al decollo: 77.112 kg.
Velocità: max  1.030 Kmh. (640 mph).
Quota max: 16.765 m. (55.000 piedi)
Autonomia: 4.830 Km.
Carico utile: 9.525 kg.
Armamento:  difensivo nessuno, offensivo 1 bomba nucleare “Blue Danube”; successivamente 1 bomba nucleare “Yellow Sun” Mk  1 o Mk 2, con testata bellica “Violet Club”.
Squadron utilizzatori: 44° Squadron (Waddington); 50° Sqn. (Waddington); 83° Sqn. (Waddington); 101° Sqn. (Finningley e Waddington); 617° Squadron (Scampton).

Kit: Airfix (Avro Vulcan B Mk2) 09002 + Kit conversione Flightpath + particolari autocostruiti.
Modello riprodotto: XH502 del 617° Squadron, Scampton 1960. Venne consegnato il 10 novembre 1958. Nel 1962 venne convertito allo standard B.1A. Motori Olympus 104. Usato prima dal 617° a Scampton, poi dal 50° Squadron nel Wing di Waddington, dove finì  usato dai vigili del fuoco per esercitazione, con  l’eccezione della sezione dell’abitacolo che venne ancora usata a Waddington per scopi istruttivi.

Cenni storici.
Il Vulcan nato da un’idea del mitico Roy Chadwick, progettista del Lancaster, è stato progettato a cavallo tra anni quaranta e cinquanta ed è stato sviluppato, tra mille difficoltà a causa della sua concezione non convenzionale e per le innumerevoli innovazioni tecnologiche che incorporava, fino all’entrata in servizio avvenuta nel 1957 nelle Operational Conversion Unit.
Caratterizzato dalle ali a delta, era senz’altro il più innovativo e suggestivo tra i 3 bombardieri che formarono la V Force (Valiant, Vulcan e Victor), la forza d’attacco aereo con capacità nucleare che pose l’Inghilterra nel 1950, tra le grandi potenze aeree del pianeta. La V Force ebbe vita breve, soprattutto per motivi di bilancio, essendo vittime della White Paper del laburista Duncan Sandys, che di fatto affossò l’industria aerospaziale britannica, alla fine degli anni cinquanta. La capacità di attacco nucleare venne demandata ai sommergibili della Royal Navy e tra problemi vari il Valiant scomparve per i suoi limiti di usura delle cellula e delle ali in particolare, mentre il Victor ed il Vulcan, evoluto nel frattempo da Mk 1 a Mk 2, assunsero ruoli di bombardieri convenzionali, prima, con la necessità di operare contro la loro natura a bassissima quota; terminarono la loro vita come tanker, fatto salvo il colpo di scena finale, quando il Vulcan ormai in uscita da tutte le unità della RAF, ebbe la sua grande occasione di gloria con la più lunga missione di bombardamento mai compiuta nel 1982, da Ascension Island, all’aeroporto di Port Stanley, nelle Falkland, occupate dagli argentini.
In tutto questo, il Vulcan subì radicali modifiche già poco dopo la sua entrata in servizio in Squadron operativi. Le modifiche principali riguardarono oltre ai motori Olympus con diversi scarichi, le ali: dalla Phase II alla Phase III. Diverse nella geometria e nell’apertura alare, nonché nei bordi di uscita e relativi superfici mobili. Inoltre il Mk 2 incorporò notevoli migliorie elettroniche che comportarono un diverso cono di coda e l’introduzione di numerose “protuberanze” per accogliere vari strumenti. La principale di queste era posta sull’impennaggio di coda. Anche i carrelli vennero notevolmente modificati. I 2 principali vennero rinforzati e completamente cambiati come disegno. Il carrello anteriore venne accorciato.

Il modello.
Avevo acquistato questo scatola alla fine degli anni 80, con l’idea di “riportare indietro” al Mk1 il kit, che offriva solo la possibilità di realizzare 3 versioni di Mk 2, in varie epoche della sua lunga vita operativa; da un Mk 2 del 617° Squadron con missile Blue Steel dei primi anni sessanta, all’abusato soggetto che nel corso della guerra delle Falkland ha compiuto l’unica azione di bombardamento reale da parte di bombardieri Vulcan. Siccome la mia “mission” modellistica è (o meglio era) quella di realizzare aerei usati dalle forze aeree inglesi nel periodo tra il 1939 ed il 1960, ho affrontato lo studio delle differenze che caratterizzano le due versioni e poi ho dovuto ….realizzarle. Il kit considerando che risale agli anni 80 è piuttosto ben realizzato ed un foglio decal discreto, con pennellature tutte in positivo e pochi fronzoli. L’impressione, pur trattandosi di un modello in scala 1/72 è di potenza e grandezza, come effettivamente il vero aereo trasmetteva.

Quindi per poter riportare il modello presentato dal kit alla versione B 1 usata per pochi anni, sono state necessarie notevoli modifiche, sfruttando il kit di after market, molto completo e ben assortito tra parti in resina, fotoincisioni e parti in metallo bianco, della Flightpath. La documentazione è stata fornita dal bel libro di Tim Laming “The Vulcan Story”, con foto tutte in bianco e nero. Poi in corsa mi sono procurato un cd “Vulcan the fire god” ed il n° 30 di Warpaint, con alcune foto a colori e disegni in scala. Siccome ho iniziato questo lavoro nel gennaio del 2003 per finirlo nel settembre 2007, nel frattempo ho avuto l’opportunità di usare internet con la possibilità quindi di accedere anche ad informazioni e foto su vari siti.
In effetti non ho impiegato 4 anni a fare il modello, perché nel frattempo mi sono dedicato al plastico dell’Abbazia ed ho realizzato anche il modello del Breguet Atlantic. E’ stato comunque un lavoro laboriosissimo e molto lungo; l’ho preso con la volontà di fare il mio masterpiece considerando che questo aereo mi piace moltissimo e comunque il lavoro da fare per la trasformazione della versione era tantissimo. Ho deciso di fare il modello con il tettuccio aperto per mostrare l’interno anche se il canopy veniva aperto solo per manutenzioni o in caso di emergenza, in quanto l’accesso dell’equipaggio avviene tramite una scala, dal ventre della fusoliera. Anche questo vano l’ho voluto riprodurre aperto, con la scala realizzata in fotoincisione.

Poi grazie al kit Flightpath ho realizzato gli aerofreni estesi. Nelle intenzioni ho scelto anche la realizzazione del vano bombe aperto, delle dimensioni di una caverna nel vero aereo, da autocostruire. Il soggetto scelto è stato un esemplare appartenuto al 617° Squadron, i mitici “Dumbuster” distruttori di dighe sotto la gida di Guy Gibson VC durante la seconda guerra mondiale, legato fin dalla sua costituzione alle macchine della AVRO, pitturato in Antiflash White, il bianco lucido che doveva garantire un basso assorbimento dei riflessi delle esplosioni degli ordigni nucleari che il Vulcan avrebbe dovuto sganciare. Le lettere e le coccarde e la maggior parte delle markings della versione del 617° Sqn. fornite con il kit non sono utilizzabili, essendo a bassa visibilità, dal momento che nessun B 1 ha ricevuto questa particolare versione di insegne entro il 1960, ma aveva insegne ad alta visibilità.

Realizzazione.
Ho iniziato dall’abitacolo, che resta abbastanza ben visibile considerando le aperture superiori ed inferiori, separando il tettuccio, fornito in un unico corpo dal parabrezza, per il quale la Flightpath fornisce delle incisioni per realizzarne il telaio e per i tergicristalli, veramente eccezionali. La bolla del tettuccio è stata dettagliata al suo interno. L’imbutitura è stata riprodotta con tela ricavata da un filtro per il liquido dei freni di un’auto. I seggiolini sono stati autocostruiti partendo da quelli assolutamente spartani forniti dal kit, grazie a degli ottimi disegni in documentazione.

 Ho usato sprue ed Evergreen; le maniglie di sgancio sono Flightpath, mentre le cinture e le pedaliere sono state recuperate dal “magazzino” di residuati di altre costruzioni, in fotoincisione. Il cruscotto della strumentazione è Flightpath anch’esso.

Tutto l’abitacolo dei piloti è stato poi dettagliato, compresa la consolle della strumentazione centrale e le 2 laterali, con Evergreen da 2 mm. L’abitacolo dei 3 operatori di sistemi, che rimane ad un livello intermedio, tra la botola d’accesso e l’abitacolo di pilotaggio è stato dotato dei seggiolini standard, senza dettagliarlo, ma usando la pennellatura posteriore, autocostruita per fissare il tutto in maniera più robusta alla 2 semifusoliere.

Ho dettagliato soltanto la botola interna che si richiude una volta che tutto l’equipaggio è salito ai livelli di operatività. Con plasticard ed Evergreen di vari spessori ho costruito la zona immediatamente a monte della botola di accesso, il solaio che divide i vari comparti dell’abitacolo. Ho aggiunto anche un po’ di fili di rame al solaio, dato che tutta quest’area di accesso sarà visibile attraverso la botola di accesso.

Nella zona anteriore del muso, ho messo una quantità notevole di zavorra, composta da piombo proveniente dall’officina di un gommista, di quelli usati per equilibrare le ruote delle automobili.

Inizialmente avevo verniciato tutto in Grey Green, ma alla ripresa dei lavori nel 2006, ho riverniciato tutto in Matt Black 33 della Humbrol, vista la nuova documentazione acquisita nel frattempo.
Per passare a qualcosa di più scontato, ho montato i “telai” degli alloggiamenti degli aerofreni, 2 per lato nella parte superiore ed uno per lato nella parte inferiore degli attacchi delle ali, che sono nel corpo del kit facente parte della fusoliera. Notare che il kit è realizzato in modo che le due semifusoliere sono tagliate a metà orizzontalmente.

Questi telai sono fotoincisi e consentiranno eventualmente di montare gli aerofreni anche in posizione estesa. Ovviamente è stato necessario scavare prima un incasso da poter accogliere la struttura di qualche decimo di spessore. Ho usato per l’incollaggio Attack. Una volta incollata alla plastica, sono passato a scavare l’interno del pozzetto di alloggio dell’aerofreno vero e proprio aprendo in pratica un foro passante, aiutandomi anche con un trapano da modellismo. Ho poi chiuso il fondo tamponandolo con del plasticard.
Ho applicato il telaietto fotoinciso della vetratura di puntamento nel ventre del muso.
Ma il bello viene con le ali. Il foglio delle istruzioni della Flightpath al proposito mi ha mandato fuori strada. Suggerisce la zona di taglio delle ali sul bordo di entrata, fornite dal kit. In questa zona vanno poi inseriti i 2 bordi di entrata realizzati in resina. questi sono molto diversi tra B 2 e B 1. Inoltre le ali vanno accorciate, per poi essere rifinite lateralmente con 2 bordi di metallo bianco forniti dalla Flightpath. È necessario anche tagliare il bordo d’uscita e reincidere completamente i flap e gran parte delle pennellature.

E qui sono avvenute le sospensioni consistenti del lavoro. Per altro all’epoca non avevo una fotocamera digitale per cui non ho foto di quella fase. Comunque la pausa è stata utile, perché mi ha consentito di procurarmi nel frattempo un disegno in pianta da Warpaint, che ingrandito fino alla scala 1/72, mi ha confermato le sensazioni che avevo. Cioè la linea di taglio suggerita da Flightpaht era errata! Quindi ho dovuto scollare i bordi in resina che avevo attaccato alle ali, già completate e stuccate!

A questo punto ho colato molto Vinavil all’interno delle ali, che con il taglio anteriore e la rastrematura da realizzare posteriormente, mi davano l’impressione di essere piuttosto deboli come fissaggio.
Ho reinciso il tutto usando come maschere i disegni di cui sopra ritagliati in carta.
Questa fase è stata lunga, tanto più lunga perché il lavoro è stato abbandonato a questo punto per un paio d’anni!!.
Quando finalmente ho rimesso le mani al Vulcan, nel maggio del 2006, ho fissato nuovamente i bordi di entrata in resina ed ho ricostruito il bordo d’uscita, realizzando uno “scalino” nel materiale dell’ala originale, dove poi ho fissato del plasticard, con spessori all’interno in sprue dove necessario, per ridurre lo spessore del bordo d’uscita ad una misura dello spessore accettabile, perché con la rastrematura aveva “arretrato” il bordo d’uscita ad una zona più spessa rispetto al bordo che era presenta nell’ala originale del kit, dato che l’ala stessa del B2 è più estesa e di diversa geometria anche nella zona di uscita posteriore .
Nella realizzazione delle nuove wingtip non ho usato quelle in metallo bianco fornite con il kit Flightpath, ma le ho autocostruite direttamente con dei pezzi di plastica recuperati dal taglio dei bordi di entrata dell’ala B2 del kit Airfix, raccordando e rastremando “in situ”.
Le ali sono state poi carteggiate finissimamente e “lucidate” con un tampone di canapa applicata al trapanino. Poi ho rifatto tutte le incisione in negativo delle pennellature e le bullonature, ho inciso delle Naca ed applicato dei pezzi di tondini di Evergreen o sprue di recupero, sagomati per riprodurre tutti quei dettagli, come sfiati ed attuatori degli elevatori presenti nell’ala della phase 2, del B1 rispetto a quella del B2.

A quel punto mi ero gasato ed ho deciso grazie a delle foto dei dettagli dei carrelli trovati su internet di realizzare dei pozzetti dei carrelli super dettagliati.
Ho sfondato le strutture chiuse originali sotto ai fazzoletti triangolari delle carenature di chiusura dei carrelli ed ho sfinato le stesse per portarle ad uno spessore consono alla scala.
Ho ricostruito quindi il cielo dei pozzetti con plasticard, cercando di fissarlo internamente nel modo più robusto possibile, con vari rinforzi non in vista.

Ho segnato poi i punti di fissaggio delle gambe dei carrelli. Ho quindi iniziato la realizzazione delle pennellature laterali, iniziando dalla parte che è sull’ala, mentre la parte contrapposta, va realizzata sulla radice dell’ala, unita nel kit alla parte inferiore delle 2 semifusoliere e che si incastra con il resto del carrello che invece è nell’ala vera e propria, quando si uniranno le ali alla fusoliera.

Ho lavorato i pannelli in piano, su fogli di plasticard che ho attaccato poi alle pareti. Uno come detto sulla fusoliera.

Per realizzare delle tubature che passano all’interno dei pozzetti ho usato il seguente metodo: ho fatto dei piccoli supporti in plasticard sottile, sui quali ho fissato con Attack dei fili di rame e solo a questo punto ho fissato il tutto al pannello di plasticard. Il fissaggio “estetico” dei tubi è stato riprodotto con tubetti di plastica del diametro giusto, tagliati a metà ed incollati al pannello.
Il vano del carrello anteriore è pieno di bombole, schede e diversa strumentazione elettronica. Ho eliminato completamente l’alloggiamento fornito dal kit originale ed ho realizzato tutte le pareti in piano con plasticard, con lo stesso metodo usato per quelli principali. Molti dei dettagli li ho ricavati da componenti di una scheda di un vecchio PC.

Gratificato da come stavano evolvendo le cose, ho deciso di realizzare il vano bombe aperto e dettagliato al meglio. L’ispirazione l’ho presa dal sito IPMS Stockholm , leggendo l’articolo sul super dettaglio di un Vulcan B2 di  Karl W Branson. Per prima cosa ho fatto quella più semplice; ho tagliato in 4 pezzi il portello di chiusura, ragionando su come poteva essere il meccanismo di chiusura, non avendo al proposito nessuna evidenza documentale. Sulla parte ant. dei  pannelli centrali ho ricavato (uno in solo dettaglio del telaietto, l’altro aprendolo proprio) i portellini di ispezione.
Per ricavare le dimensioni della profondità del vano, non avendo dati ufficiali, sono ricorso alla misurazione dello spazio che offriva il modello al suo interno, ampliato in verità dalla rilavorazione della zona sotto all’impennaggio verticale, che era un po’ d’impiccio. Ho quindi realizzato una sagoma delle due centine alle estremità anteriore e posteriore con del cartoncino, riprodotte poi su plasticard da 1,2 mm. Le ho quindi sagomate dal “vivo”, adattandole allo spazio disponibile. Una volta realizzato il profilo di queste centine, ne ho realizzate 13 intermedie, sulla base del profilo superiore delle prime. Il profilo inferiore l’ho desunto dalle foto disponibili. Si può ovviamente opinare in questo, sul fatto che non ho lavorato su dimensioni e sagome esatte dell’originale, ma non avevo scelta!

Per fissare tutte le centine e riprodurre le 4 travature cilindriche che passano attraverso di loro ho utilizzato dei tondini di ottone da 0,8 mm. Ho forato solidalmente tutte le centine con l’esclusione di quelle alle estremità.

Ho infilato con 4  tondini di ottone le centine una ad una attraverso i fori, distanziandole tra di loro con dei tubetti di plastica ed ho incollato il tutto con colla cianocrilica a lento effetto, per dare un diametro più consono alle travature e per essere sicuro del parallelismo tra una centina e l’altra; il tutto ha conferito rigidità alla struttura. La centina centrale è più larga esternamente delle altre, in modo da poter essere fissata solidalmente alla fusoliera. L’intera struttura può essere fissata poi alle pennellature che delimitano anteriormente e posteriormente il vano bombe, attraverso dei semitranci, a scatto per poter effettuare fissaggi di prova. I 2 pannelli (centine) alle estremità sono state incollate in funzione portante, con generosi rinforzi, non visibili a modello finito in rod di plastica di varie misure e dimensioni.

Ho sagomato l’intero “Pacchetto” di centine ottenute e seguendo le foto ho pannellato dove necessario la zona inferiore, incidendo in negativo, bullonature, aperture ecc. Ho realizzato anche alcuni dettagli in plastica (centraline ed accumulatori idraulici), fissati ad alcune di loro. Una volta sicuro della bontà del manufatto, dopo varie prove, l’ho incollato ai 2 pannelli portanti.

Il cielo del vano bombe è realizzato in 2 sezioni di plasticard molto sottile, che si uniscono alla centina centrale maggiorata e a quelle alle rispettive estremità. Ho incollato nella parte che resterà a vista del plasticard, dei rod di Evergreen da 0,8 mm quadrati, equidistanti tra loro, grazie ad una sagoma usata per l’incollaggio, avvenuto in piano.

Dopodichè l’ho incollato alla struttura centinata già fissa al suo posto. Lateralmente ho chiuso il vano bombe con dei pannelli di plasticard, non dettagliati, in quanto la zona sarà comunque nascosta dai portelli, fissati in posizione aperta.

Nel frattempo avevo preparato le prese d’aria motore, seguendo il foglietto delle istruzioni della Flightpath, che suggeriscono di abbassarle al punto di fissaggio di 1 mm. e di incollarle alla semifusoliera superiore, in quanto il B1 ha queste aperture più strette appunto di quelle del B2.

Le 2 prese (2 motori ciascuna) sono chiuse in fondo dal pezzo del kit che riproduce l’imbocco del compressore delle turbine; li ho verniciati prima del montaggio con dei colori alluminio, argento e scurite con dei lavaggi, tutti in smalto. L’interno delle prese è stato verniciato prima del montaggio, con del bianco. Una prima mano con smalto, seguita poi da rifinitura di carteggiatura e stuccatura; poi un paio di mani con acrilico, prima di sigillarle in fondo come detto con il particolare che riproduce le ventole della turbina.
Successivamente quando sono andato ad incollare le 2 semifusoliere, queste prese d’aria interferivano con il vano bombe e quindi la chiusura non era perfetta. Ho dovuto molare con una fresetta il tutto abbondantemente ed addirittura da un lato ho dovuto staccare e riattaccare la presa d’aria.

Il lavoro di stuccatura in questa zona è stato laborioso ed abbondante, specie per sigillare, come indicato da Flightpath il bordo inferiore con la fusoliera; ho usato prima del Milliput bianco, per la stuccatura grossolana, cioè di riempimento, poi ho esordito con lo stucco grigio della Tamiya.

Anche nella parte superiore di giunzione è stato necessario un accurato lavoro di stuccatura.
Ho poi dato ancora una mano di bianco all’interno delle prese d’aria.
Ancora prima di incollare le semifusoliere ho verniciato i pozzetti dei carrelli. Una prima passata con colori a smalto Revell, bianco opaco ed un grigio chiarissimo miscelati, compresa la parte interna dei portelli.

A proposito tutti i portelli principali sono stati affinati; quelli dei portelli dei carrelli principali li ho dettagliati con la riproduzione in fotoincisione della parte interna.

Anche sulla fusoliera ho carteggiato la superficie per eliminare le pennellature in positivo e poi ho rifatto le pennellature in negativo.

Ho fissato il windscreen con il Crystal Clear, ma alla lunga non mi è piaciuto, dopo aver verniciato, per cui  l’ho staccato e fissato di nuovo con colla Revell. Con il Crystal Clear ho fatto anche le luci dentro al pozzetto del carrello e l’oblò del vano dell’abitacolo degli specialisti.
In questa fase ho montato anche i 2 pitot alle estremità dell’ala e li ho raccordati con stuccature. Per montarli ho fatto 2 tagli con dischetto applicato al trapanino. Ho usato colla bicomponente per modelli radiocomandati “Great Planes”. Il problema è che questi 2 lunghissimi spilli sono molto sporgenti e delicati ed infatti prima della fine del lavoro li ho rotti almeno un paio di volte.
Usando le maschere fornite dalla Flight Path ho forato con il trapanino la parte superiore delle superfici alari per applicare i Vortex fotoincisi, anch’essi forniti con lo stesso foglio; l’applicazione è stata rapida ed abbastanza semplice grazie alla fantastica colla  Slo-zap CA della Pacer.

I terminali di scarico, dei motori originali sono stati tagliati e sostituiti da quelli in metallo bianco del kit sostitutivo. Poi ho montato il cono di coda in resina, sempre Filght Path, un’altra importante caratterizzazione del B.1, rispetto al successore, che in questa zona aveva montate delle pesanti ed ingombranti attrezzature elettroniche, abbastanza primitive (siamo alla fine degli anni cinquanta) che comportarono diverse carenature.
Per unire questa parte in maniera “elegante”, è stato poi necessario molare con delle frese applicate al mio trapanino e stuccare abbondantemente, prima con il Millupit e poi con il Tamiya. 
Le  prove di incollaggio a secco della ali, rivelano grossi problemi nella zona di raccordo tra l’insieme coni di scarico e linea del bordo di uscita dell’ala, probabilmente a causa del fatto che entrambi sono stati montati su zone tagliate del kit originale Airfix. Perciò ho dovuto ricostruire una volta di più una parte dell’ala; ho dovuto reincidere un bassofondo sugli slats interni. Ho applicato superiormente un plasticard da 0,75 mm e sotto 2 “lame” di plasticard da 0,25 mm., il tutto sagomato nella zona  all’interno. Verso i flap esterni ho usato solo una sfoglia da 0,25. L’insieme è comunque di spessore sovrabbondante per cui è stato necessario molare e carteggiare il tutto, senza risparmiarsi neanche le stuccature. Le rifiniture di raccordo le ho lasciate per dopo l’incollaggio della ali alla fusoliera.

Per il resto le stuccature richieste nella zona di giunzione, state abbastanza contenute. Ho deciso a questo punto di lasciare in positivo le pennellature delle gondole dei 4 motori, perché reincidere in negativo la zona, molto curvilinea non dava assolutamente garanzie di riuscita.
Il timone è stato profilato ex-novo con molature e carta vetrata nella parte alta, dove sono state eliminate le modifiche apportate al B.2 per alloggiare strumentazione elettronica. Alla base, alla giunzione timone fusoliera, è stato inserito un triangolo di metallo bianco proveniente dal solito kit di personalizzazione, necessario a colmare il gap con il cono di resina, anch’esso del kit modifiche. E’ stato necessario però aumentarne lo spessore con plasticard e stuccare abbondantemente, anche dopo le prime mani di verniciatura.

Verniciatura.
Ho esordito su questo modello con l’utilizzo esteso (esclusivo quasi) di colori acrilici, dopo un primo esperimento, parziale sul Breguet Atlantique dell’AMI.
Per prima cosa ho realizzato un preshading con Nero lucido Tamiya sulle pennellature, leggermente schiarito, dopodichè ho applicato del grigio leggerissimo ottenuto miscelando bianco e nero Tamiya.

Poiché gli acrilici non coprono benissimo, per poter amalgamare al resto le parti in resina e fotoincisioni, ho dato successivamente una passata di sintetico: Light Grey opaco schiarito con del bianco della Humbrol.
I pannelli di chiusura dei carrelli sono stati fissati con Maskol “in situ” durante la verniciatura, così da lavorarci in opera.
A questi “preliminari” sono seguite un’infinità di mani di bianco acrilico della Tamiya, in quanto come tutti i bianchi non è facile ottenere la giusta coprenza. Il preshading nero rimane anch’esso ben evidente molto a lungo. Sono seguite 2 mani di bianco Gunze, un po’ più coprente del Tamiya, che in alcuni punti mi ha cangiato in giallognolo ed in altri in buccia d’arancia, per cui ho dovuto ricarteggiare qua e là.

Per spezzare un po’ la fase (noiosa e lunga) di passate di bianco ho realizzato gli aerofreni con il materiale fotoinciso Flight Path. I telai di supporto e apertura del vero e proprio aerofreno, sono in grado di realizzare un profilo ad U, mentre nella realtà la struttura è scatolata, per cui ho “tamponato” l’interno della U con delle barrette profilate della Evergreen, adattate nelle dimensioni.

Arrivato ad un punto di decenza della copertura del bianco, ho realizzato i pannelli neri nella parte inferiore del muso e sulla sommità della deriva. La mascheratura fatta per quest’ultimo si è rilevata insufficiente perché ho velato di nero anche la base della deriva. Questa operazione mi ha costretto alle ennesime passate di bianco per ristabilire un equilibrio. Infine ho velato di bianco le superifici nere, per schiarirle un po’. Tutta questa fase è stata portata avanti con acrilici.

Prima dell’applicazione delle decal ho dato una mano di Tamiya lucido trasparente.
Si è posto quindi il problema della decal appunto.
Infatti la versione di un B2 del 617° Squadron, fornita dal kit Airfix è dotata delle decal a bassa visibilità, che non vennero adottate se non nei primissimi anni sessanta e che di contro non sono compatibili con il periodo (max 1960) in cui voglio inserire la mia riproduzione. Per cui dovrò arrangiarmi in qualche modo. Purtroppo per alcuni stencil di minore rilevanza e dimensione non posso prescindere da quello che passa il convento del foglio originale; qualcosa in effetti riesco a recuperare anche dalle altre versioni mimetizzate  degli altri B2 di epoche successive, inserite sempre nel foglio della Airfix, che comunque considerando l’epoca (fine anni ’80) di realizzazione del kit, non è poi così male.

Per le coccarde e fin flashes tricolori da montare sulla deriva ho fatto un veloce ordine da Hannants di un foglio X-tradecal delle insegne inglesi D-Type. Nel frattempo ho iniziato ad applicare quelle che avevo. Qualche problema di troppo invece l’ho avuto per procurarmi le lettere nere di grandi dimensioni per applicare il serial della macchina nella parte inferiore delle ali, perché in tutti i numerosi fogli di lettere della X-Tracolor accumulati negli anni, non ce n’è uno giusto. Ho scelto il serial XH502.
Infine ho trovato presso il negozio Blu Record di Jesi una specie di raccolta di vari, vecchi fogli di decal, che vanno dall’aviazione franchista della guerra di Spagna alla I° guerra del Golfo,  che mi hanno consentito di realizzare attraverso una specie di collage il lettering delle serial nel modo opportuno.

Ma non era finita. Le 3 saette che sono il simbolo del 617° Squadron che debbono fare bella mostra di sè sulla deriva ce l’ho solo in bassa visibilità nel foglio originale. Perciò debbo realizzare usando fotocopie di  queste ultime, una maschera e poi verniciarle. Ho incollato la fotocopia su nastro Tamiya da 1 cm. applicato a sua volta su un foglio di plasticard. Il problema è accentuato dal fatto che il nastro non è largo abbastanza e quindi ho unito due pezzi di nastro. Ho inciso il tutto poi con un coltellino.

Il problema principale è stato applicare il nastro (anzi 2 strisce di nastro) adesivo sul timone, correttamente e senza rovinarlo. Il colore delle saette è il rosso della coccarda della RAF, ottenuto miscelando 4 parti di rosso con 1 di blu cyan della Tamiya. Il tutto spruzzato ad aerografo.

Il risultato complessivamente è buono, anche se in qualche punto la maschera di nastro si era lacerata impercettibilmente, perdendo la linearità della linea.

Il lavoro di applicazione delle decal alla fine è risultato lungo e abbastanza tedioso, a causa della ricchezza dei numerosi piccolissimi dettagli presenti sul foglio originale.
Terminata questa fase ho effettuato qualche lavaggio nelle zone dei bordi di uscita e di maggior sporco, con colori ad olio, schiarendo una miscela di grigi. Le pannellature sono state oggetto di lavaggi per capillarità con un nero, allungato con una goccia di dark earth, della X-tracolor, fortemente diluiti con acquaragia. Poi c’ho trafficato intorno con un po’ di alluminio e dulcis in fondo un leggero shading con del bianco appena sporcato di nero, diluitissimo.
Ho quindi sigillato il tutto con trasparente lucido Gunze con una puntina di bianco per smorzare il tono.

Tendenzialmente a me piace “sporcare” molto i miei modelli, ma questa volta ho dalla mia della documentazione, anche se inizialmente avevo pensato a qualcosa di brand new. Ma siccome questa è la fase del lavoro che prediligo, c’ho dato dentro, avendo visto anche la foto di un B1 in volo  con le gondole dei motori molto affumicate, nel mitico volume di Tim Leaming. Ho letto anche che volando su aree altamente industriali delle Midlands, i Vulcan in bianco antiflash tendevano ad appiccicarsi addosso lo smog, proveniente dalle ciminiere delle fabbriche della zona.

Ho fattio una mascheratura con del nastro e “sfumato” il bordo con del Maskol, intorno alle gondole motore, nel lato inferiore. Qualche goccia di Maskol l’ho fatta cadere anche qua e là, all’interno della zona dove sarei andato a dipingire. Ho preparato una “miscela” diluitissima di exhaust sintetico della X-Tracolor, con del middle stone e l’ho applicata ad aerografo. A metà del lavoro ho rimosso le gocce di Maskol. Quindi ho dato delle passate con un pennello a lavare con acquaragia, partendo dal davanti verso il dietro. Dopo alcuni giorni, visto che l’effetto sporco mi sembrava eccessivo, ho ripetuto dei lavaggi con un pennello imbevuto d’acquaragia e passando un panno per asportare del colore.

L’effetto finale secondo me è soddisfacente, ma non so se in definitiva esagerato rispetto a quanto avrebbero potuto essere effettivamente vissuti quei Vulcan bianchi; in effetti i B1 nel 1960 erano in servizio solo da pochi anni.
Ho assemblato quindi le ruote , ben 18, completate con i cerchi fotoincisi Flightpath; purtroppo manca l’effetto del pneumatico sgonfio. Ho verniciato le  gomme ad aerografo con colori sintetici  ed i cerchi a pennello con alluminio sintetico X-Tracolor. Un bel problema è stato quello di far si che tutte le ruote toccassero terra una volta applicate ai carrelli. Per far questo in effetti qualche ruota è stata “sgonfiata” carteggiandola; ma più ancora ho dovuto alla fine riattaccarne qualcuna indipendentemente  dai fulcri preesistenti, che all’occorrenza sono stati eliminati.
I carrelli sono composti dalle parti in metallo bianco pressofuso e da alcune del kit originale, nonché da rinforzi in sprue di plasticard. L’accoppiamento a secco è stato un lavoro molto bello e gratificante, rispetto al solito. Purtroppo poi al momento di incollare il tutto qualche problema è emerso, specie con la gamba principale del carrello anteriore,

per la quale non sono riuscito a trovare dei punti di ancoraggio efficaci se non sulla dx; ho dovuto rinforzare un po’ con dei puntoni la zona sinistra. Anche per i carrelli principali è stato necessario lavorare molto sui punti di ancoraggio, ben rinforzati per far si che comunque le gambe avessero una rigidità sufficiente a poter sopportare il peso del modello abbastanza elevato per uno del genere.

I carrelli sono stati ripassati con colore alluminio e poi “lavati” con varie passate di smalti diluiti ad acquaragia a scurire i recessi.

L’applicazione dei portelli dei vani carrelli è stata completata da martinetti realizzati in sprue cilindriche tirate ad una estremità per simulare dei martinetti idraulici.
Applico poi come previsto il tettuccio in posizione aperta, dopo aver fatto due forature nella zona retroabitacolo e due in corrispondenza nella zona posteriore del tettuccio, dove ho infilato due “lamelle” di sprue ricavate dal set fotoincisioni.

Il montaggio degli aerofreni nei vani già realizzati come detto anticipatamente è stato abbastanza semplice.

Ma con il Vulcan non si può mai stare sicuri. Vado infine a staccare le protezioni applicate al muso ed al cono di coda  e mi porto via un po’ di trasparente lucido. Così ho dovuto passare l’ennesima mano ad aerografo. Lucido trasparente con una goccia di bianco Gunze diluiti ad alcool. Ma in parte (specie sul muso) il problema è rimasto.
La colorazione nel complesso è un po’ troppo buccia d’arancio, comunque alla fine questo è di gran lunga il miglior modello mai fatto dal sottoscritto.

Non mi resta che completare il “sarcofago” di vetro con uno specchio posto al sotto, quindi senza ambientazione. Ho realizzato un modello di una Land Rover da mettere vicino al Vulcan, per dare l’idea delle dimensioni dell’aereo, da una scatola JB, che in verità riporta la scala come essere 1/76 anziché 1/72.

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