MOSTRA KAIKO
BIBLIOTECA COMUNALE DI CHIARAVALLE AN
Luglio - Settembre 2016
Sampson PAPADELIAS, uno dei tanti greci che da ragazzo lasciò l’isola
di Nisyros, poco più che una grande roccia vulcanica immersa nel mare
Egeo e che insieme ad altre 11 isole appartiene al gruppo del
Dodecanneso.
Uno dei pochi 700 abitanti che ha avuto la fortuna di crescere in un
luogo che non appartiene all’immaginazione dei popoli dei continenti.
Sampson imparò a fare il carpentiere, ad usare la calce per unire i
mattoni, ma anche a modellare il legno per ottenere le forme che poi il
cemento conserva per anni.
La sua esperienza negli Stati Uniti durò 20 anni, mise su un’impresa,
si guadagnò una pensione e come tutti volle fare ritorno a Nisyros,
laddove era nato, laddove era cresciuto e conosceva ogni angolo
dell’isola.
Si sa, una volta imparato il mestiere non lo dimentichi più, Nisyros
offriva ed ancora oggi offre distrazioni che poco hanno a che fare con
le isole più turisticizzate.
Ma c’è un’atmosfera magica che ti permette di guardare dentro te
stesso.
Così Sampson decise di iniziare a costruire modelli, kaiki in legno di
dimensioni notevoli ma il segreto era quello di utilizzare materiale di
scarto.
La pensione c’era ma non poteva essere impegnata per acquistare
materiali nuovi…..e poi dove trovarli?
E fu così che Sampson iniziò a girovagare per Nisyros raccogliendo qua
e la tavole in legno, residui di lavorazione di falegnamerie, pezzi di
reti di pescatori…insomma tutto ciò che potesse servire per costruire
dei kaiki con la minima spesa.
La vernice no, quella si doveva acquistare nuova, i colori di queste
imbarcazioni devono essere sgargianti, luminosi, devono potersi notare
a distanza.
Nelle mattinate dei primi mesi estivi, quando anche sollevare un chiodo
costa fatica, Sampson usava recarsi al piccolo kafenion (bar) che aveva
i tavolini sul porto.
Ed era li che spesso si fermava per sorseggiare un caffè “metrio” per
più di un’ora, osservando i pescherecci e i kaiki ormeggiati in porto.
Era importante studiare le curve, i fasciami, i dettagli di queste
imbarcazioni, i suoi modelli dovevano sembrare veri….anzi….più belli di
quelli veri.
Fumata l’ultima sigaretta della mattinata, lasciava il kafenion per
tornare a casa dove mangiava e poi si riposava.
I 20 anni trascorsi negli Stati Uniti gli avevano procurato qualche
acciacco.
Ma poi, quando il sole iniziava a calare ecco che Sampson tornava nel
suo piccolo laboratorio ad aggiungere un altro pezzo al suo kaiki,
magari una vela oppure un albero maestro.
L’ultima volta che visitai Nisyros quando Sampson era
ancora in vita fu nel 2006, quando al telefono mi disse che voleva fare
un regalo a mio figlio Nicola.
Volle regalargli un kaiki costruito da lui, ma Sampson non si rendeva
conto di quanto spazio potesse occupare un simile modello nella mia
auto.
Era lungo poco meno di 1,6 metri.
Ma….testardo lui.…testardi io e mio figlio.…il modello di Sampson
doveva venire in Italia!
E fu così che smontammo i sedili della nostra auto ed andammo a
Nisyros.
Fu un’emozione inenarrabile, mio figlio Nicola poi non stava nei
panni….!!
Bello, veramente bello ma soprattutto enorme!! Lo sistemammo sul
terrazzo grande, d’estate faceva parte dell’arredo, gli amici che
invitavamo a cena erano attratti dai colori ma soprattutto dalle reti
che gli avevamo messo per farlo sembrare ancora più vero.
A Natale invece, sempre fuori al terrazzo, diventava un addobbo con
tante piccole luci intermittenti. Era maledettamente bello, di sera non
c’era automobilista che passasse sotto casa rivolgendo lo sguardo verso
il terrazzo per osservare il kaiki di Sampson illuminato a festa.
E poi….la bandiera greca sul pennone! Moreno, il mio amico Presidente
dell’AMC, un giorno mi disse che poteva essere esposto a Natale insieme
agli altri modelli. Certo, non era da professionisti ma illuminato
attirava tanti bambini in festa.
Ora Sampson non c’è più, tre anni fa se ne è andato, era diabetico e
non era solito prendere le medicine che gli dava il medico.
Perché continuare a vivere se non poteva più continuare a costruire i
kaiki?
Alcune taverne, alcune case nell’isola di Nisyros conservano i modelli
che Sampson aveva regalato loro.
C’è un ristorantino del villaggio di Palous che espone il proprio kaiki
per attirare i clienti, case private che arredano il giardino con un
modello con le vele. Il nostro kaiki invece si è invecchiato, troppo
tempo esposto alle intemperie.
Quindi destinato a cambiare destinazione ma non a morire.
Qualche giorno fa mi chiama Moreno, il mio amico Presidente dell’AMC e
mi chiede se posso prestare il modello come memoria per la tragedia dei
migranti in un’iniziativa del Comune di Chiaravalle. “Si certo Moreno”
gli dissi “ma ho provato a restaurare il modello ed è stato sabbiato.
Ora però più che un modello sembra un vero e proprio relitto”.
Vero, un relitto come quelli arenati a Lesvos o a Lampedusa. Ed è
questa la memoria che in maniera forse inconsapevole mio cugino Sampson
voleva trasmettere. Il mare non divide i popoli ma li unisce. Il mare
non dimentica ma ricorda, con i suoi abissi, da dove siamo partiti e
dove siamo arrivati.
Una barca può navigare ed approdare così come può affondare in
tempesta, ma la barca conserva i ricordi dei viaggiatori.
Anche mio padre lasciò Nisyros all’età di 8 anni, aveva solo la nonna
anziana e la necessità di imparare un mestiere per sfamarsi.
Ci raccontava spesso che l’acqua da bere la si doveva portare dal pozzo
nei secchi attaccati su un’asta da portare sulla spalla.
Anche lui come Sampson lasciò il Dodecanneso negli anni ‘30 e venne in
Italia.
I mei fratelli ed io siamo i testimoni di una generazione che come i
migranti di oggi fecero un viaggio per cercare la fortuna altrove.
Anche allora c’era la guerra.