USS Enterprise CVN-65, vede Napoli
e
poi….muore
La
prima portaerei nucleare della storia, mia coscritta, essendo entrata
in
servizio nell’ormai lontano 1961, è ahimè arrivata alla fine della sua
carriera, lunga ed onorata. Il sottoscritto invece deve augurarsi di
lavorare
ancora diversi anni prima di raggiungere la pensione (??).
Ma
non per questo sento di invidiarla, in quanto il destino della
Enterprise è
nero, anzi nerissimo a causa della sua stessa magnificienza. Infatti
date le
sue dimensioni e caratteristiche, i costi per musealizzarlo sarebbero
proibitivi e quindi verrà completamente demolita in due anni e
resteranno di
Lei solo una targa e la tradizionale campana.
Ma
con un rara punta di sentimentalismo, la US Navy ha deciso di far
sostare la
Enterprise per alcuni giorni a Napoli, sulla rotta che dal Golfo
Persico la
porterà a Norfolk in Virginia, dove il 1° dicembre prossimo verrà
decommissionata in attesa del suo destino. Big E, come è
affettuosamente
chiamata la grande portaerei, fece scalo a Napoli nel 1964 durante la
sua prima
crociera fuori dalle acque statunitensi ed allora qualcuno ha pensato
di farle
vedere nuovamente Napoli per l’ultima volta, prima di…morire,
parafrasando il
famoso proverbio.
Circa
10 giorni fa, quando ho aperto la posta elettronica ed ho visto la mail
della
US Navy/Eu ho avuto un tonfo al cuore, leggendo che finalmente eravamo
stati
invitati a visitare la prima unità statunitense che fosse capitata a
Napoli,
perché si trattava appunto della mitica Enterprise. Ottava nave a
portare
questo nome, senza considerare l’altrettanto mitica nave spaziale
Enterprise
del serial di fantascienza Star Trek; questa scelta
già indicava come sia impossibile per la marina americana
non
avere in linea un vascello con questo nome. Tant’è che si è pianificato
di
battezzare Enterprise una delle prossime unità portaerei previste.
Appresa
la notizia, in quattro e quattr’otto ci siamo organizzati; l’unico
problema,
quello di contenere in una trentina il numero delle persone
“imbarcabili”.
Fissata la data della visita per sabato 20 ottobre 2012, non restava
che
augurarsi
una bella giornata. E così è stato; una tardiva estate ci ha accolto
nel Golfo
di Napoli, quando scendendo dall’autostrada verso la città inondata dal
sole,
abbiamo avvistato in controluce, ad un
paio di miglia dalla costa, la poderosa sagoma della nave.
Spendere
parole per dare numeri e caratteristiche di questa unità è superfluo,
giova
ricordare soltanto che è tuttora la più lunga nave militare del mondo,
con una
lunghezza fuori tutto di 342 metri. La stazza di 94.000 t. a pieno
carico è
inferiore di una Garibaldi, alle unità della classe Numitz. Si perché
le 11.000
tonnellate della nostra portaeromobili, sono all’incirca la differenza
di peso
fra queste enormi portaerei americane.
La
security prima dell’imbarco non fa sconti ed i controlli sono di tipo
aeroportuale. L’attesa del battello che ci porterà a bordo avviene in
un’area
piuttosto degradata dove la US Navy ha organizzato l’hospitality per i
marinai
che scendono a terra in libera uscita, per essere smistati nelle varie
località
turistiche. Pensate sono circa 5.000 e quindi i pulman in attesa erano
quanti
quelli che attendono i croceristi. Un self service era stato allestito
al solo
uso e consumo degli americani, mentre noi abbiamo potuto procurarci 3
bottiglie
d’acqua solo grazie alla cortesia di un marinaio di guardia.
Comunque
una volta imbarcati su uno dei numerosi battelli, noleggiati per il
servizio
charter tra la portaerei e la terraferma, tutto è tornato a posto e
carichi più
delle macchine fotografiche al seguito siamo partiti. Oltre la barriera
frangiflutti del porto siamo sfilati a babordo del cacciatorpediniere
USS Nitze
DDG94 della classe Arleigh Burke che fa parte del Combat Squadron della
Enterprise. Dopo aver compiuto la “circumnavigazione” completa della
nave
ammiraglia, maestosa e placida, come un guerriero in riposo che ci ha
consentito di ammirarla da tutti i punti di vista, ci siamo ancorati a
poppa,
dove un pontone galleggiante fungeva da molo di sbarco. Da sotto,
guardare
l’altezza della nave, toglie il fiato. Dopo esserci arrampicati per una
ripida
scala siamo arrivati al livello dell’hangar, dove è iniziata la visita.
In
effetti il caos necessario ad inquadrare i numerosi visitatori presenti
oltre a
noi è stato parecchio. Ma finalmente siamo partiti. Nel hangar erano
rimasti un
paio di FA/18 ed un Prowler EA-6, anch’esso arrivato al pensionamento,
perché
verrà sostituito dal FA/18G. Tutti gli altri aerei, circa 70 (sic!)
erano
schierati sul ponte, dove la sera precedente si è tenuto un
ricevimento.
Pertanto la vista che si aveva, una volta che ci hanno fatto
arrampicare sulla
plancia di comando, nei piani alti dell’Isola, era da mozzafiato. Dal
lato
esterno torreggiavamo su un picco di oltre 20 metri sul livello
dell’acqua; dal
lato ponte un assembramento di aerei copriva quasi del tutto il ponte
di volo!
Qualcosa pari quasi all’intera flotta di caccia intercettori della
nostra
aeronautica.
In
verità la nave, sia all’interno che all’esterno denota la sua età; più
che per
la manutenzione, comunque buona dopo 7 mesi in mare, tanto è durata
quest’ultima 22° crociera della Enterprise, l’età viene denotata da
alcune
caratteristiche costruttive, tipiche comunque degli anni ’60. Salendo
lungo le
ripide scalette interne, le porte degli uffici indicano responsabilità
di
comando crescenti. La cabina del comandante è subito dietro la plancia
di
comando. La plancia viceversa è dotata di strumentazione di ultima
generazione,
ma il tavolo di lettura delle tradizionali carte nautiche, occupa
tutt’oggi la
maggior parte dello spazio.
Ci
è venuto spontaneo di fare un breve sondaggio sullo stato d’animo del
personale, riguardo l’imminente fine della nave. Ovviamente i pareri
sono
contrastanti, ma prevale l’indifferenza e la freddezza, tipica del
mondo
anglosassone. La cosa viene liquidata da alcuni come l’ineluttabile
segno del
tempo che passa.
Più
romantica è stata la descrizione del suo ruolo e delle motivazioni,
fatta da un
giovanissimo co-pilota FA/18 F biposto che ha avuto modo di raccontarci
la sua
soddisfazione di essere lì, lui che essendo della Virginia, si ricorda
delle
volte che vedeva la Enterprise nella sua base di Norfolk dove la nave
ha
risieduto negli ultimi 15 anni. Queste immagini fin dall’infanzia lo
hanno
fatto sognare di diventare un giorno un aviatore della Marina. Ed ora
che è lì,
gli sembra di perdere un legame con le sue radici. Il personale,
maschile e
femminile, altrettanto numeroso, che ci ha accompagnato è stato
comunque molto
cordiale e disponibile a rispondere a tutte le domande, ovviamente in
base alle
proprie conoscenze ed ai propri ruoli. Ovviamente in un equipaggio di
5.000
persone le specializzazioni sono tali che ognuno è competente per il
proprio
settore; fotografare non è solo consentito ma incoraggiato! Impressionante la zona di
manovra delle
ancore, con catene ed ancora del peso di 40 t ciascuna; ce ne sono due
a bordo.
Girando
nel ventre labirintico della Enterprise siamo passati vicini anche a
zone dove
andava mantenuto il silenzio, a causa del personale che dormiva alle 3
del
pomeriggio, poiché la nave non dorme mai del tutto e quindi qualcuno
che dorme
c’è sempre.
Impressionante
l’usura a livello di livree di tutti gli aeromobili, causata dalla
salsedine in
primis, durante questa lunga permanenza in mare. Ma soprattutto
impressionante
la vista degli Hawkey, apparentemente troppo grandi per poter decollare
nei 100
m. scarsi di lunghezza della corsa della catapulta a vapore, prima
della fine
del ponte di volo, a 12 m. sul livello del mare. Bellissima la vista
dal basso
di questi aerei, circondati da refoli di fumo che sfiatano dai boiler
di
generazione del
vapore.
Ovviamente
la sala macchine, popolata da ben 8 reattori nucleari, contro i 2 delle
navi
della classe Nimitz, risiede nelle viscere di questo colosso che sotto
il
livello del mare affonda per altri 11 metri.
Ma
il tour dopo un paio d’ore scarse volge al termine e disperati come
bambini a
cui hanno tolto il giocattolo, ridiscendiamo prima nel hangar e da lì
all’imbarcadero, dopo aver consegnato un nostro gagliardetto
all’ufficiale di
guardia ed aver ricevuto un giornalino “Welcome on board” prodotto e
stampato a
bordo della nave. Si rimane con l’impressione che forse c’era margine
per
nascondersi a bordo ed aspettare di salpare con la Enterprise, che di
fatto è
ripartita per il suo ultimo viaggio l’indomani mattina alle 8,00. Però
mi son
detto, come sono fighi quelli del ’61!
Noi
del gruppo siamo rimasti viceversa a Napoli fino alla domenica
pomeriggio per
goderci una visita di questa città, mai sufficientemente decantata per
la sua
bellezza e vivacità, nonostante tutto. Un pensiero alla fine per
ricordare il
momento di raccoglimento davanti alla tomba di Salvo D’Acquisto,
sepolto nella
basilica di Santa Chiara in città.
Un
grazie di cuore alla Dott.sa Teresa Merola, del personale civile della
base US
Navy che oltre ad averci consentito di effettuare questa
indimenticabile
visita, ci ha supportato dal punto di vista logistico per la nostra
permanenza
in città.
Moreno Bartolucci
Presidente A.M.C.